Nella nostra cultura, dominata dalle immagini visive, la maggior parte delle persone usa la vista per ottenere una grande quantità di informazioni a distanza, senza bisogno di doversi recare a cercarle.
La conoscenza del mondo avviene attraverso capacità del sistema nervoso di costruire e ri-costruire rappresentazioni visive. Vediamo il mondo come lo costruiamo.
Le immagini entrano nell’occhio, come una macchina fotografica, e vanno a fuoco sulla retina, come una pellicola sensibile alla luce. La retina è molto di più di una pellicola fotografica.
La retina è un prolungamento di tessuto nervoso, molto complesso. Formato da decine di tipi di cellule, connesse in molti modi e in diversi strati. Le immagini sono ricevute, elaborate e trasformate in segnali ininterrotti che viaggiano attraverso il nervo ottico, verso le vie nervose e poi distribuite in numerosi centri cerebrali.
Il sistema visivo rielabora, confronta con le esperienze precedenti, decodifica, interpreta “commenta” i segnali in arrivo. Si origina così una “esperienza visiva”. Come vedo io una scena non è esattamente uguale a come la vede il mio vicino.
La Visione è Interpretazione del Mondo
La nostra immagine del mondo è una rielaborazione personale.
La vista non è la banale “registrazione” delle immagini in entrata, ma è la percezione interna dei media visivi a seguito dei cambiamenti che portano la sua trasduzione, filtrazione e trasformazione da parte del sistema nervoso.
Dato il ruolo interpretativo integrale del cervello nella costruzione di qualsiasi impressione visiva complessa, ciascun essere umano comprende il proprio ambiente fisico come ambiente percepito.
Lo “sguardo” è ampiamente usato per indicare sia chi guarda immagini che quello di chi è ritratto, un termine a doppia faccia. C’è qualcuno che guarda e ci può essere qualcuno che ricambia lo sguardo. Dare lo sguardo significa percepire che si sta guardando un oggetto. Esporsi allo sguardo significa esporsi alla vista o mostrarsi.
Come la persona, anche lo sguardo può essere interpretato.
James Elkins nel 1996 propone dieci modi diversi di guardare un dipinto figurativo in una galleria:
Ci sono anche osservatori immaginari:
Testimoniata da miti come quello del malocchio e della gorgone Medusa, il cui sguardo poteva trasformare l’oggetto in pietra. Le rappresentazioni folcloristiche degli occhi cercano di proteggere chi li indossa dal potere dello sguardo maligno. Nel XIX secolo, il discorso sull’oggetto della percezione era incentrato su un’opposizione tra i sensi ottici e tattili. Il senso tattile ci metteva in contatto con la realtà, mentre il senso ottico era considerato il senso dell’intelletto, dello spirito e dell’immaginazione.
Nelle società arcaiche, anche contemporanee, lo fotografia viene percepita come sguardo che cattura l’anima di chi viene fotografato e come tale una violenza che va rifiutata.
Gli impressionisti e i simbolisti furono attratti dal fatto che la percezione ottica sembrava unire la soggettività della visione artistica con l’oggettività del mondo esterno.
All’inizio del XX secolo, l’espressionismo tedesco sfruttava il senso di potere delle immagini che fissavano minacciosamente lo spettatore.
Il carisma dello sguardo ha raggiunto il suo apice in Hitler, che si vantava del suo sguardo ipnotico. Il trattamento quasi paranoico di Jean-Paul Sartre su “le regard” (lo sguardo) nel suo trattato di filosofia esistenziale, Essere e nulla, ritrae lo stato di essere guardati come una minaccia per il sé.
L’interesse per l’occhio e lo sguardo, nato alla fine del XX secolo, è stato anche ampiamente indagato in termini di psicoanalisi.
Marshall McLuhan, nel suo Understanding Media: The Extensions of Man, fa riferimento alla tragedia di Narciso causata dall’errato riconoscimento della propria immagine: “Il mito greco di Narciso riguarda direttamente un fatto dell’esperienza umana, come indica la parola Narciso. Deriva dalla parola greca narcosis, ovvero intorpidimento. Il giovane Narciso scambiò il proprio riflesso nell’acqua per un’altra persona. Questa estensione di se stesso tramite lo specchio intorpidì le sue percezioni fino a farlo diventare soggetto alla sua stessa immagine estesa o ripetuta.
La ninfa Eco cercò di conquistare il suo amore con frammenti del suo stesso discorso, ma invano. Era insensibile. Si era adattato all’estensione di se stesso ed era diventato un sistema chiuso.”
Anche la fotografia, come lo specchio, può essere un mezzo di auto ispezione e di sorveglianza, Creano un doppio del soggetto, una seconda figura, che può essere esaminata e trasportata a piacere.
Il teorico del cinema Christian Merz ha fatto un’analogia tra lo schermo cinematografico e lo specchio, sostenendo che identificandosi con lo sguardo della macchina da presa, lo spettatore cinematografico rimette in scena “lo stadio dello specchio” di Lacan, il momento in cui un bambino riconosce la propria immagine nello specchio come un’immagine idealizzata di se stesso.
Le funzioni della fotografia possono essere viste nel contesto dell’analisi sull’aumento della sorveglianza nella società moderna. La fotografia stabilisce sugli individui una visibilità attraverso la quale li si differenzia e li si giudica.”
E’ l’osservazione pervasiva attraverso le telecamere negli spazi pubblici e il monitoraggio elettronico dei lavoratori e dei cittadini.
L’idea ormai chiara è che si stiano costruendo società in cui tutti i comportamenti saranno fortemente regolamentati attraverso la paura creata da un’osservazione di qualche entità oppressiva, Può essere il governo, la polizia, enti privati. Si è parlato molto degli aspetti liberatori e decentralizzanti delle nuove tecnologie mediatiche, come internet e la connessione computerizzata dovunque, ma resta il fatto che le nuove tecnologie informatiche saranno altrettanto efficaci per i poteri politici e per le organizzazioni consolidate. Resta ancora da vedere in che misura le nuove tecnologie mediatiche aumenteranno di fatto la centralizzazione del potere, facilitando un monitoraggio e un’osservazione senza precedenti.