Questo bastone ti guarda con i suoi occhi magnetici. Occhi che ti guardano e ti scrutano l’anima e ti affascinano.
Sono gli occhi dei bastoni simboli del comando in Oceania, opere connesse al potere umano e a quello divino. Nelle foto bastoni realizzati realizzate nel XVIII e XIX secolo, che hanno suscitato l’interesse di artisti moderni come Giacometti, Picasso, Moore e Brancusi. L’abilità scultorea degli intagliatori di queste opere d’arte è impressionante, ma nelle lingue oceaniche includevano anche il nostro concetto di “sacerdotale”, alludendo a una dimensione religiosa di queste figure. oggetti cui veniva anche riconosciuto un importante ruolo di mediazione tra l’ordinaria esistenza quotidiana e il regno delle potenze superiori, responsabili della prosperità e produttività della vita dell’uomo. E’ in parte quello che molti isolani del Pacifico intendono per “mana”: un potere che trascende le qualità umane o la casualità meccanica. Inoltre trattandosi di un prodotto della natura, il processo di realizzazione di questi manufatti, interrotto più di un secolo fa, richiedeva un iter attento e i materiali da cui erano ricavati – alberi e ossa di mammiferi marini a cui a volte si aggiungevano pietre e conchiglie – dovevano essere acquisiti e modificati seguendo un rituale tradizionale. In molti luoghi la superficie delle mazze veniva decorata con materiali associati al mare, quali frammenti di conchiglia o denti di capodoglio e in Polinesia il mare e i materiali derivanti da quell’ambiente, considerato sacro, erano associati ai capi e alla loro autorità.
Ce ne sono rimasti alcune centinaia, arte pura sacerdotale. I loro incisori vi trasferivano lo spirito e la potenza degli antenati e delle divinità Oceanie. vere opere d’arte complesse, rappresentazioni di divinità, status symbol, pregiati oggetti di scambio e accessori per le esibizioni e talvolta strumenti di combattimento.
Polinesia e Tahiti, Australia e la Nuova Guinea, l’isola di Pasqua e le Hawaii avevano una ricca varietà di culture affascinanti per gli europei, che le raggiunsero dal cinquecento. l’Oceania, l’ultimo ad essere scoperto dagli Europei prima dell’Antartide, è un insieme estremamente diversificato di isole sparse su metà della superficie del nostro pianeta, nel grande Oceano che le unisce.
Protagonisti di cerimonie, combattimenti e danze rituali, simboli di potere. Sono stati raccolti tra settecento e ottocento, portati in Europa e non compresi, sepolti in un passato la cui cultura è estranea al cristianesimo. E le generazioni hanno nei secoli dimenticato. È significativo che molti bastoni realizzati con grande attenzione e materiali pregiati presentino caratteristiche o forme antropomorfe: rappresentazioni di antenati, riferimenti a presenze ancestrali come mezzi per attivare un potere divino e svolgere un ruolo protettivo nei confronti di chi le detiene.
Gli stessi materiali utilizzati sono associati alla divinità e alla messa in atto del potere: in Polinesia la casuarina è una delle essenze più dure del Pacifico tropicale, comunemente detta legno ferro, mentre nelle Marchesi e nelle isole Cook il legno viene chiamato toa, lo stesso termine che si usa per designare i guerrieri di spicco. A Rarotonga, nelle isole Cook, la casuarina era utilizzata per creare immagini di divinità-bastone (pezzi davvero unici quelli provenienti dal British Museum) che a volte prendevano la forma di scettri, come si vede in mostra in un bellissimo esempio.
Bellissime sculture in legni, osso di balena o capodoglio, che valeva più dell’inutile oro, manufatti dai molteplici usi e significati, fantsmagorici i percorsi del loro trasporto in europa, a collezioni, come doni, fino a collocazione nei musei e collezionisti. Talvolta l’interesse degli europei era semplicemente di tipo folcloristico come souvenir esotici da mostrare o rivendere; tal altra era un interesse di tipo scientifico, oggetto di baratto in cambio di beni necessari nelle società indigeni di allora, oppure in molti casi ripudiati dalla comunità locali neoconvertite dai missionari. popolazioni spesso sopraffatte e di cui sono state cancellate, volutamente o per supponenza, memoria e saperi.
Pezzi unici espressione della creatività e della capacità di straordinari artigiani – erano tra i materiali più diffusi e ancora prodotti quando, tra Sette e Ottocento, le spedizioni del Vecchio Continente iniziarono a giungere con frequenza in quelle terre, prima che i missionari e le amministrazioni coloniali ne scoraggiassero la produzione.
Oggetto di curiosità e ammirazione, di studio e di collezionismo, vennero portati in Occidente da avventurieri, ricercatori, commercianti, missionari e ufficiali coloniali. Eppure, proprio perché a lungo considerati strumenti cruenti di selvaggi, furono costretti a un ruolo minore nei musei e nelle esposizioni. Ora i bastoni del comando dell’Oceania si mostrano nella loro stupefacente bellezza scultorea e vere opere d’arte complesse, rappresentazioni di divinità, status symbol, pregiati oggetti di scambio e accessori per le esibizioni, e talvolta strumenti di combattimento. Opere connesse al potere umano e a quello divino”, sono ancora oggetti in parte misteriosi, non capiamo fino in fondo i loro messaggi né i simboli che le adornano, ma appaiono straordinari.
Molte informazioni, conoscenze ormai sono andati perduti, cancellati dalla colonizzazione europea e dall’azione dei missionari nei secoli scorsi; persino la terminologia usata dagli indigeni per indicare le diverse tipologie di mazze, considerata anche l’eterogeneità dei luoghi di produzioni e l’enorme numero di lingue dell’Oceania (all’inizio dell’Ottocento persino Vanuatu, un arcipelago relativamente piccolo, aveva oltre duecento lingue attive su una popolazione di nemmeno 150.000 abitanti, mentre si stima che la Nuova Guinea abbia oltre mille lingue distinte), appare oggi di difficile ricostruzione. Ciò che risulta evidente e sorprende è in ogni caso l’eccezionale equilibrio di molte di queste sculture che spaziano dai 50 cm agli oltre 3 metri, la fluidità delle forme, la meticolosità dell’intaglio, della lucidatura e degli ornamenti, la varietà delle tipologie.
I bastoni erano anche armi anche se non tutti furono usati in combattimento. Bastoni di diversi tipi erano diffusi ovunque in Oceania per far fronte alle tante guerre che tra Sette e Ottocento animarono anche il Pacifico. Qui brandire questi bastoni del comando era segno di forza, di potere e di prestigio e anche a questo aspetto viene dedicata una sezione della mostra. La letteratura marchesana accenna a danze e parate con bastoni, organizzate sia prima di un combattimento sia per festeggiare una vittoria.
Dalle corte clave patu di Aotearoa Nuova Zelanda, alle mazze di media lunghezza presenti in molti luoghi, fino alle lunghe lance delle isole Australi e Cook, la maggior parte di queste era congegnata per adattarsi a differenti tecniche di combattimento che in alcuni casi prevedevano mosse e finte codificate. In Aotearoa Nuova Zelanda, per esempio, l’uso di bastoni da combattimento come taiaha, tewhatewha e pouwhenua implicava velocissimi movimenti atletici che oggi vediamo nella sfida del wero, saluto formale ai visitatori di riguardo.
Non solo: le danze erano occasione per sfoggiare manufatti ispirati alle mazze. Nelle danze marziali organizzate a Makira nelle isole Salomone si usava per esempio una mazza-scudo di forma ricurva che era in grado di deviare le frecce. Molti erano “scettri cerimoniali” e più che essere destinati ai combattimenti erano un’ostentazione con l’intento soprattutto di proiettare un’immagine di autorità e status. Pensiamo all’enorme Siriti, pesante mazza a due mani alta 152 cm. proveniente dal British Museum, tra le più grandi rappresenta nel suo insieme una figura maschile stilizzata.
In ogni caso che si trattasse di armi reali o di mazze da esibire, due elementi appaiono fondamentali in questi misteriosi oggetti oceanici: la relazione con il divino e il mondo spirituale, oltre allo straordinario numero di dettagli di incisioni e raffigurazioni di cui spesso diventavano incarnazione. Da sempre, in tutti i diversi popoli e culture, i rapporti con le forze soprannaturali – dei, antenati o spiriti – sono stati considerati esiziali per le incertezze delle vita e della morte.